Con l’anagrafe tributaria e dei rapporti di conto corrente, è di fatto abolito il pignoramento presso il datore dilavoro o l’istituto di previdenza
Dimentichiamo i tempi in cui lo stipendio veniva pignorato fino a massimo del “quinto”. Probabilmente saranno eccezionali i casi in cui il 20% della pensione sarà trattenuto dall’Inps, su richiesta dell’ufficiale giudiziario, mentre il resto verrà regolarmente accreditato al pensionato. Le ragioni di questa rivoluzione nelle esecuzioni forzate sta in un provvedimento di legge appena approvato.
L’ultima riforma della giustizia [1] farà, indirettamente, per avvocati e creditori, il lavoro che un tempo facevano le agenzie investigative: scoprire facilmente i beni del debitore, onde valutare, già prima del pignoramento, l’eventuale convenienza dello stesso, nonché “cosa” pignorare e, soprattutto, “dove”. Come infatti abbiamo detto negli scorsi mesi, pagando un modesto supplemento di contributo unificato, sarà possibile chiedere all’ufficiale giudiziario di consultare l’anagrafe tributaria e, ancor più utile, l’anagrafe dei conti correnti, per avere accesso a tutti le informazioni utili sul soggetto inadempiente e sui suoi beni.
L’effetto è dirompente e cercheremo di spiegarlo in poche e semplici battute Fino a ieri, quando il creditore non conosceva la banca di appoggio dello stipendio o della pensione del debitore, era costretto a notificare il pignoramento presso il suo datore di lavoro o all’Inps, affinché questi, dopo aver accantonato “il quinto” dell’emolumento mensile, invece di accreditarlo al debitore lo versassero direttamente al soggetto procedente (cosiddetto pignoramento presso terzi). In tal caso, però, il creditore doveva accontentarsi solo di “un quinto” della paga, tale essendo il limite previsto dalla legge. Con ovvie ripercussioni sui tempi per recuperare l’intera somma. Da oggi, invece, non sarà più così. Conoscendo già in partenza – con una semplice consultazione dell’anagrafe dei rapporti finanziari – il conto corrente del debitore e l’eventuale disponibilità di somme presenti sullo stesso, il creditore potrà rivolgere il pignoramento direttamente in banca o alle Poste, dove, come è noto, non vige alcun limite di “un quinto”. E ciò vale anche se ivi viene depositato solo lo stipendio e la pensione (salvo qualche sporadica interpretazione giurisprudenza). Difatti, una volta accreditati sul conto, la pensione o lo stipendio diventano integralmente pignorabili.
Risultato: il creditore potrà bloccare il 100% delle somme depositate, evitando rischi di procedure lunghe e, a volte infruttuose Non poche volte, infatti, avveniva che, una volta ottenuto il pignoramento del quinto dello stipendio, almeno nei casi di crediti più elevati, dopo alcune mensilità, il debitore venisse licenziato o andasse in pensione. Con la necessità, anche in quest’ultimo caso, di procedere a un nuovo pignoramento. In alcuni casi, il creditore si accontentava di quello che aveva già preso e abbandonava la procedura. Il pignoramento del quinto, peraltro, presentava anche l’ulteriore problema della “fila” che spesso si crea tra più creditori: non potendo essere pignorato più di un quinto per volta (salvo alcune rare eccezioni), chi prima arriva, prima si soddisfa. Agli altri creditori intervenuti dopo non resta che accodarsi al pignoramento e sperare di ricevere il “quinto” una volta accontentato il creditore precedente. Proprio come in una fila allo sportello. Invece, con il pignoramento direttamente in banca, se il conto è capiente si potranno soddisfare contemporaneamente anche più creditori. Ovviamente, l’effetto sarà lo svuotamento del deposito. In realtà, tale situazione – che corrisponde comunque a un orientamento ormai pacificamente accettato dai giudici e dalla stessa Cassazione– finisce per discriminare chi tende a risparmiare e a conservare le somme in banca rispetto a chi, invece, le spende subito o, comunque, le conserva sotto il materasso, sottraendole così all’aggressione dei creditori. Il correttivo, da più anni invocato dalla nostra testata giornalistica, è quello di consentire al debitore di dimostrare che, sul proprio conto, affluiscano solo redditi pensionistici o da lavoro dipendente. E, in tali casi, limitare il pignoramento a un massimo di un quinto, così come avverrebbe se lo stesso venisse notificato al datore di lavoro o all’Inps. Non v’è, infatti, alcuna differenza tra la situazione in cui le somme sono nella disponibilità dell’imprenditore o dell’istituto di previdenza a quello in cui, invece, passano alla banca o alle poste. Si potrebbe così consentire al debitore di accendere un conto “ad hoc”, destinato proprio a ricevere tali emolumenti mensili, in modo da non confonderlo con eventuali ulteriori accrediti derivanti da redditi diversi.
Del resto, un’interpretazione di questo tipo non troverebbe neanche ostacolo nella legge che, nello stabilire il limite di pignoramento del “quinto” di pensione o stipendio, è volutamente generica e non fa alcun riferimento all’atto notificato (solo) al datore di lavoro o all’ente previdenziale. Difatti, il codice di procedura civile [2] stabilisce solo che “le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura” di 1/5.
Nulla vieta, dunque, di applicare tale norma anche al caso di pignoramento presso la banca.
[1] Dl 132/2014.
[2] Art. 545 cod. proc. civ.