I millesimi.
Di fronte al problema di come suddividere le spese condominiali, capita spesso di sentire in assemblea commenti davvero accorati del tipo “ma non è giusto!”, specie in riferimento ai lavori straordinari. Tolte le persone in malafede che pur di veder ridotta la propria rata non accettano ragioni (se non la propria), ecco qualche dritta su come approcciarsi alle tabelle millesimali.
Le parti comuni sono di proprietà (e a carico) di ciascun condomino in ragione del valore della propria unità abitativa, relativamente al valore delle altre unità (così indica la legge). Il valore però NON può intendersi come quello commerciale: andrebbe altrimenti rivisto ogni volta che avviene una compravendita, e periodicamente occorrerebbe un controllo sul mantenimento del valore interno di ciascun appartamento (migliorie come infissi di pregio o il rifacimento dei bagni, o d’altro canto il lento decadimento di una casa in abbandono). Si fa quindi riferimento ad un valore intrinseco della singola unità abitativa, basato su tanti criteri quante sono le peculiarità che differenziano le varie unità abitative.
Chi decide quali sono questi criteri sono i proprietari prima della costituzione iniziale del condominio, ed in genere questo è il costruttore. Sarebbe ottima cosa, quindi, che insieme alla tabella millesimale sia allegata agli atti di compravendita anche la relazione tecnica del consulente che ha redatto la tabella, indicando quali criteri sono stati considerati e come. E’ infatti importante sapere fin dall’inizio cosa si accetta (con valore contrattuale!) poiché la giurisprudenza è abbastanza restia ad accogliere richieste di modifica della tabella millesimale per ragioni non “strutturali”, che sono un errore di calcolo iniziale o una alterazione di più di un quinto della unità abitativa (passare da 100 a 120 metri quadri, per esempio). Compreso questo, ogni modifica è permessa se c’è il consenso unanime dei proprietari, e quindi senza passare da un tribunale. Altri tipi di modifica ai criteri di ripartizione delle spese sono spesso consentiti a maggioranza semplice (maggioranza dei presenti che rappresenti i 501 millesimi) dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 18477 del 2010, ma questo è un altro discorso valevole soprattutto per le spese ordinarie.
I criteri di calcolo delle tabelle si dividono in “interni”, cioè propri di ciascun appartamento (come superficie, volume, numero e natura dei vani, grado di aerazione e illuminazione naturale, orientamento) ed “esterni”, cioè dipendenti dalla struttura (esposizione, panorama, piano e raggiungibilità, isolamento acustico e termico…), così se ne esistono tanti oggettivi e facilmente misurabili, alcuni restano abbastanza soggettivi. Alcuni esempi: ha un valore intrinseco un posto-auto vicino all’uscita o uno identico situato alla fine del corsello dei box, in cui è anche difficile fare manovra? Sempre a parità di superficie e volume, ha maggior valore intrinseco un appartamento posto all’ultimo piano di un edificio senza scale, o quello al piano terreno? Vale più una unità abitativa isolata su più lati da altri appartamenti, o la stessa unità posta in testa con una dispersione termica maggiore?
Per quasi ogni criterio in analisi ci sono dei coefficienti di calcolo, citati in due circolari ministeriali, una risalente al 26 marzo 1966, ed una del 26 luglio 1993 (che dopo 27 anni offre delle precisazioni sulla prima): queste indicazioni sono state redatte per le cooperative edilizie a contributo statale, ma la prassi le ha fatte valere per tutti i condomini.
Le disposizioni ministeriali lasciano un certo margine di discrezione al tecnico che redige le tabelle (come appunto il grado di funzionalità di un appartamento). Auspichiamo che lo Stato elabori dei criteri ancora più precisi, non limitandosi all’edilizia pubblica. Ma se i tempi di reazione del Ministero sono di 27 anni tra una circolare e l’altra, in attesa del 2020 l’auguro è di affidarsi solo a mani esperte.