Balconi: infiltrazioni d’acqua dal terrazzo del vicino

Balconi: infiltrazioni d’acqua dal terrazzo del vicino
Quando si parla di infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo del vicino del piano di sopra, il risarcimento segue una regola diversa a seconda che si tratti di:
– balconi aggettanti: quelli, cioè, che costituiscono un prolungamento dell’appartamento e che danno sulla facciata dell’immobile, sotto i quali non v’è altro o magari il balcone aggettante di un altro condomino
– terrazzo a livello: quello sotto il quale vi è l’appartamento del vicino, cui funge da copertura (v. foto).
Nel primo caso, a pagare il risarcimento è il proprietario dell’appartamento. E questo perché il balcone aggettante è considerato come un prolungamento della proprietà del titolare dell’appartamento.
Diverso è il caso del terrazzo a livello. Secondo una consolidata giurisprudenza, la terrazza a livello è equiparata al lastrico solare se funge da copertura dell’appartamento sottostante. In questo senso, la Cassazione [1] ha puntualizzato che in base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dal codice civile [2], il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Sussiste, dunque, l’obbligo per il proprietario del piano di sotto di sopportare le spese di manutenzione e ricostruzione della terrazza soprastante. Il codice civile [2] stabilisce infatti che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condòmini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
[1] Cass. sent. n. 5125/1993.
[2] Art. 1126 cod. civ.

Vendita casa – oneri condominiali

Quando si acquista una casa, forte è il timore che il venditore abbia lasciato arretrati non pagati con il condominio e che, pertanto, un giorno possa bussare alla porta l’amministratore con una bolletta stratosferica. La legge però tutela l’acquirente, stabilendo regole ben precise in merito alla responsabilità sulle obbligazioni condominiali rimaste “in sospeso” prima del rogito notarile: regole che – è bene sottolineare – non possono essere derogate dalle parti. Il che significa che se anche l’atto di vendita contiene clausole di tenore differente (stabilendo, per esempio, che a sostenere tutti gli oneri condominiali sia il venditore o l’acquirente) esse avranno effetto solo come accordo personale tra le parti, ma non saranno vincolanti per il condominio. È quanto confermato dal Tribunale di Milano con una recente sentenza [1]. Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa stabilisce la legge.
 
Il codice civile [2] prevede che gli oneri condominiali non ancora pagati dal venditore al momento della vendita vadano così ripartiti:
 
– delle spese relative all’anno in corso del rogito e a quello precedente, ne rispondono in solido sia il venditore che l’acquirente. Per esempio: se nel marzo 2015 viene venduto l’appartamento, sia il nuovo che il vecchio proprietario rispondono di tutti gli oneri condominiali relativi all’anno della vendita (2015) che a quello anteriore (2014);
 
– delle spese precedenti all’anno anteriore alla vendita (nell’esempio di prima, dal 2013 a ritroso), ne risponde solo il venditore. Nei suoi confronti, quindi, l’amministratore può chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo. In questo caso, però, non essendo il debitore più condomino a tutti gli effetti, il decreto ingiuntivo non potrà essere provvisoriamente esecutivo [1]. La richiesta di pagamento, quindi, presentata dal condominio al nuovo proprietario sarebbe illegittima per difetto di legittimazione passiva.
 
Per le restanti spese successive all’anno del rogito notarile (nell’esempio di poc’anzi, dal 2016 in poi) ne risponderà in via esclusiva solo l’acquirente.
 
In buona sostanza, il venditore non può lavarsi le mani degli importi di cui è moroso: solo per quelli relativi all’anno di vendita e a quello precedente il condominio potrà indifferentemente agire nei suoi confronti o del nuovo proprietario, ma per quelle anteriori a tale periodo non è che lui il solo responsabile, anche in presenza di patti contrari con l’acquirente.
 
Attenzione: per stabilire, con precisione, a quale anno competano le spese richieste dall’amministratore non si deve guardare il momento in cui la spesa viene deliberata dall’assemblea (che potrebbe risalire a molto tempo prima), ma al momento in cui è stato erogato il servizio o eseguito l’intervento comune a cui la spesa fa capo l’obbligo di pagare le spese condominiali.
 
Questo significa che il venditore è tenuto comunque a sopportare le spese riguardanti opere straordinarie e innovazioni deliberate dall’assemblea prima della vendita dell’immobile, anche se eseguite successivamente.
Dall’altro lato, l’amministratore di condominio può richiedere all’acquirente, nuovo proprietario, le spese ordinarie sopportate per la manutenzione e la conservazione dell’edificio e per l’erogazione dei normali servizi comuni, sebbene deliberate dall’assemblea prima della compravendita.
 
 
 
 

Tribunale di Milano, sez. XIII Civile, sentenza 2 marzo 2015
Giudice Spinnler

Motivi in fatto ed in diritto della decisione

II – Milano ed il condominio di via hanno proposto appello avverso la sentenza n. 109.596/2012, con la quale il Giudice di Pace di Milano accoglieva le opposizioni proposte da P.L. e per l’effetto annullava i decreti ingiuntivi n. 2991712010 e 2688/2010, respingeva la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente e quella diretta alla condanna per lite temeraria e poneva le spese di lite a carico degli opposti. Hanno proposto le domande di cui all’atto di appello qui da intendersi richiamate per motivi di sintesi. L’appellato si è costituito in giudizio sollevando, in via preliminare, eccezione di inammissibilità dell’appello e difendendo, nel merito, la sentenza gravata, chiedendone, in principalità, la conferma, in subordine, previa ammissione di C.T.U. diretta alla determinazione delle spese dovute dall’appellato, la deduzione della somma di euro 750,00, corrispondente al credito risarcitorio spettante al P. nei confronti del condominio, e l’annullamento del decreto n. 26688/2010, in via istruttoria che proposto ordine di esibizione ai danni dell’assicurazione Aviva Italia s.p.a. . Omessa ogni attività istruttoria, all’udienza del 2.12.2014 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni ed il giudice ha trattenuto la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
1 – In via preliminare ha eccepito l’appellato l’inammissibilità dell’appello per carenza dei requisiti richiesti dall’ars. 342 c.p.c. nel testo novellato dalla L. 13412012
Più precisamente , assume l’appellato che gli appellanti avrebbero omesso l’esposizione dei fatti, non avrebbero indicato i motivi specifici che sostengo l’appello con preciso riferimento alle parti del provvedimento gravato e non avrebbe esplicitato le modifiche richieste alla sentenza gravata con riferimento sia all’iter argomentativo che al decisum.
L’eccezione è infondata e va disattesa.
I fatti di cui è causa sono stati esposti nella pagine da 1 a 3 dell’atto di appello, mediante una ricostruzione dei giudizio di primo grado, con richiamo indiretto a tutti i fatti già dedotti in tale grado del giudizio ed oggetto di puntuale riepilogo da parte del primo giudice. Del resto poiché la motivazione dell’appello e con essa l’allegazione dei fatti è funzionale ai motivi di gravame ed alla diversa ricostruzione offerta dall’appellante, le circostanze di fatto relative alla modalità ed ai tempi di approvazione dei consuntivi di gestione da parte del condominio e gli ulteriori fatti di cui dà conto l’appellato nella comparsa di risposta non sono rilevanti nel presente atto di appello, posto che gli appellanti non contestano le circostanze di fatto poste a sostegno della decisione, bensì la ricostruzione in diritto operata dal primo giudice.
L’atto di appello è esaustivo anche con riferimento all’indicazione delle parti della sentenza impugnate, relativamente tanto alla parte motiva che alle conclusioni, e contiene il puntuale richiamo delle norme violate ed alla loro rilevanza ai imi della pronuncia.
2 – Con riferimento ai punti 1 e 2 del dispositivo della sentenza, di cui gli appellanti hanno chiesto l’integrale riforma, hanno dedotto un vizio di motivazione per omessa pronuncia, ìn violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., per avere il primo giudice revocato i decreti ingiuntivi opposti sul rilievo del difetto di legittimazione passiva del P., omettendo di motivare tale conclusione e di valutare la fondatezza della domanda di merito con specifico riferimento alla pretesa creditoria avanzata dal supercondominio e dal condominio nei confronti dell’appellato. Il motivo è fondato.
Il Giudice di Pace ha annullato i decreti ingiuntivi opposti sull’affermazione che il        leve considerarsi ” soggetto terzo rispetto ai condomini delle assemblee successive alla vendita
dell’appartamento ai Sig. ri        “, ha inoltre disatteso la pretesa creditoria, affermando ” i crediti ingiunti fatti valere in via monitoria, anche se esistenti, mancano dei requisiti di liquidità, certezza, determinazione, esatta documentazione e riferibilità “.
A -. In punto legittimazione passiva dell’appellato sì osserva quanto segue.
Il credito portato dai decreti ingiuntivi opposti è relativo a spese condominiali riferite al periodo in cui l’appellato era proprietario dell’appartamento successivamente venduto ai sig.ri         e ma che sono state oggetto di approvazione da parte dell’assemblea condominiale in data successiva all’alienazione dell’immobile. Infatti, l’appellato ha venduto l’immobile il 13.11.2007, le spese condominiali oggetto di causa sono relative ai consuntivi 2006/2007 e 200712008 , oggetto di approvazione, rispettivamente, da parte dell’assemblea del condominio di via Mar Nera n. 15 in data
9.1.2008 e da parte dell’assemblea del Supercondominio n data 9.10.2008. Certamente, non essendo l’appellato condomino al momento dell’emissione dei decreti ingiuntivi opposti, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 63 comma 1° disp. Att. c.c., con la conseguenza che il condominio non poteva chiedere ed ottenere nei suoi confronti un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (Cass. 23345/2008 ).
Tale principio di diritto ha fondato la decisione del primo giudice di annullamento dei decreti ingiuntivi opposti per difetto di legittimazione passiva.
Tuttavia, poiché l’oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è costituito solo dalla verifica dell’ammissibilità e della validità dei procedimento monitorio ma anche dell’accertamento della fondatezza della domanda di merito introdotta con il decreto ingiuntivo opposto, occorre verificare se nei confronti del condominio e del supercondominio il condomino alienante debba rispondere dei contributi condominiali maturati quando egli era proprietario, sebbene approvati in data successiva alla vendita dell’immobile.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, avendo l’obbligazione relativa al pagamento delle spese condominiali natura di obbligatio propter rem, soggetto passivo di tale obbligazione è il proprietario dell’immobile nel momento in cui il servizio o l’intervento comune cui la spesa si riferisce viene usufruito o posto in essere, con indipendenza dal momento in cui la spesa viene deliberata dall’assemblea, posto che l’obbligo del singolo di contribuire alla spesa deriva dalla legge, in forza della titolarità della quota millesimale ( art.. 1123 c.c. ) e non dalla delibera assembleare, che non ha valore costitutivo ma semplicemente dichiarativo, operando semplicemente la quantificazione e la ripartizione delle spese sulla base delle tabelle millesimali (cfr Cass. 4393/1997; Cass. 6323/2003 ) Ne deriva che, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure, l’appellato, per quanto non più condomino al momento dell’emissione dei decreti ingiuntivi opposti, è legittimato passivamente alle pretese creditorie avanzata dei condomini appellanti, trattandosi pacificamente di spese relative a servizi prestati durante il periodo in qui era proprietario dell’immobile, per quanto approvate con delibera successiva.
B – Quanto alla fondatezza della pretesa creditoria, valgono le seguenti considerazioni.
L’affermazione del primo giudice circa la carenza del credito dei requisiti di liquidità, certezza, determinazione, esatta documentazione e riferibilità , oltre che priva di motivazione, risulta destituita di fondamento.
i crediti del condominio e del supercondominio azionati con i decreti ingiuntivi opposti risultano provati con la produzione delle delibera assembleari di approvazione dei consuntivi di gestione 2006/2007 e 2007/2008 (cfr delibere del 9.1.2008 del- condominio e del 9.10.2008 del supercondominio ) con relativa ripartizione millesimale delle spese. Le anzidette delibere, non essendo state oggetto di impugnazione, sono diventate definitive.
La circostanza che l’appellato non abbia potuto partecipare alle assemblee nella quali vennero approvati i predetti consuntivi di gestione, non essendo più condomino a seguito della vendita dell’appartamento, non incide sull’obbligo di corrispondere le spese in parola rispettivamente al supercondominio ( D.II n. 29991712010) ed al condominio ( D.II n. 26688/2010 ), per quanto sopra
esposto circa il momento di insorgenza dell’obbligo di pagamento delle spese condominiali e gli effett della delibera assembleare di approvazione delle stesse.
Parimenti priva di rilievo, in assenza di tempestiva impugnativa della delibera assembleare da parte degli aventi causa dell’appellato , appare la contestazione relativa alla mancata convocazione di questi ultimi all’assemblea condominiale.
L’appellato ha difeso la sentenza gravata affermando la carenza di prova nel quantum della pretesa creditoria.
In particolare ha eccepito che l’assemblea dei 9.10.2008 non avrebbe approvato lo stato di ripartizione delle spese e che i rendiconti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo non sarebbero stati approvati dall’assemblea condominiale ma rielaborati dall’amministratore.
La seconda contestazione non è stata in alcun modo dimostrata e contrasta con quanto risulta dal verbale dell’assemblea del 9.10.2008. Peraltro, dallo stesso verbale emerge, quanto ai conteggi, che dovendo l’amministratore chiudere due esercizi – 2006/2007 e 2007/2008 – sono stati accorpati ì saldi relativi a ciascun condomino in un unico saldo finale ( cfr doc. 1 del condominio ). La prima contestazione è invece tardiva e, come tale, inammissibile, essendo stata sollevata solo con la comparsa conclusionale depositata all’esito del giudizio d’appello. Peraltro, è indubbio che tali riparti siano stata approvati dall’assemblea, essendo stati oggetto di approvazione con riferimento ai punti 2° e 3° dell’ordine del giorno aventi ad oggetto appunto l’approvazione dei bilanci consuntivi 2006/2007 e 2007/2008 e relativi stati di riparto, come del resto riconosciuto dallo stesso appellato già con l’atto di citazione in opposizione, laddove si è limitato a contestarne il valore probatorio per avere gli opposti allegato documenti asseritamente redatti ex post dall’amministratore, diversi da quelli oggetto di approvazione assembleare. Ha contestato l’appellato che gli acquirenti Oliva e Brancaccio avrebbero versato per spese di gestione relative all’esercizio 2006/2007 la somma di euro 1.586,66 e che l’amministratore avrebbe concesso loro un credito di euro 640,30.
La prima eccezione è priva di rilevanza posto che tale somma è stata dedotta dal supercondominio dal credito azionato con il decreto ingiuntivo n. 29917/2010, come si evince dai conteggi esposti nel ricorso stesso; la seconda non risulta in alcun modo dimostrata.
Assume l’appellato che il piano di riparto del consuntivo 2007/2008 contiene un addebito per spese personali per la gestione del condominio dell’importo di euro 585.75 non dovute. Tale voce di spese è stata approvata dall’assemblea del 9.10.2008, che non è stata impugnata. L’eccezione di nullità della delibera è stata sollevata tardivamente in appello .
Del resto non avendo l’appellato, tramite i suoi aventi causa impugnato l’anzidetta delibera, non vi è motivo per negare la fondatezza del credito in esame.
In conclusione, deve ritenersi che il credito azionato con i decreti ingiuntivi opposti sia stato compiutamente dimostrato deve pertanto censurarsi la contraria statuizione espressa dal primo giudice. Pertanto, deve invece respingersi l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 268812010, risultando infondata l’eccezione di ne bis in idem con riferimento al credito portato dal decreto ingiuntivo 29917/2010, essendo stato espunto dal maggior credito portato datale ultimo decreto quello di euro 543,75 portato dal primo.
Il decreto ingiuntivo n. 2991712010, va invece revocato – posto che, come conosciuto dal supercondominio fin dal primo grado del giudizio e già prima in sede di emissione dei precetto di pagamento , il credito portato dal decreto ingiuntivo in esame contiene al proprio interno la somma di euro 543,75, richiesta dal condominio con il decreto ingiuntivo n. 2688/2010 – e deve disporsi la condanna dell’appellato al pagamento della somma di euro 1.691,13 (2.234,88- 543,75 ).
3 – La domanda riconvenzionale proposta dall’appellante in primo grado e diretta alla condanna del condominio di via Mar Nero n. 15 al pagamento della somma di euro 750,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti, salva eventuale compensazione con i crediti dell’ente gestorio, è stata respinta dal giudice di prime cure.
Sul punto non è stata proposto appello incidentale da parte dell’appellato, che avrebbe dovuto farlo costituendosi in giudizio nel termine di cui agli artt. 343 e 166 c.p.c., mentre si è costituito in prima udienza.
Pertanto, essendo la relativa statuizione passata in giudicato, è inammissibile la domanda proposta in via subordinata dall’appellato, così come le richieste proposte in via istruttoria e strumentali alla domanda in esame.
4 – II primo giudice, in applicazione del principio della soccombenza, ha condannato gli odierni appellanti alla rifusione delle spese del grado.
Il capo della sentenza relativo alla liquidazione delle spese processuali è stato oggetto di appello in ragione dei carattere eccessivo della somma liquidata a titolo di spese ( ero 2.257,00, oltre IVA e CPA ) in rapporto con il valore del giudizio.
La doglianza risulta superata dall’accoglimento dell’appello, che, determinando la soccombenza dell’appellato in primo grado, comporta la revoca della statuizione di condanna degli appellanti al pagamento delle spese relative a tale grado di giudizio.
In applicazione del principio della soccombenza l’appellato va condannato alla rifusione delle spese del doppio grado del processo.

P.Q.M.

Il Tribunale, in funzione di giudice unico, definitivamente decidendo, in riforma della sentenza n. 10959612012 resa dal Giudice di Pace di Milano in data 11.5128.6.2012, così provvede:
revoca il decreto ingiuntivo n. 29917/2010 e condanna l’appellato a pagare all’appellante
Supercondominio di via    la somma di euro 1.691,13, oltre interessi dalla mora al saldo;
respinge l’opposizione proposta da _    avverso il decreto ingiuntivo n. 2688/2010, che conferma;
dichiara inammissibile la domanda subordinata proposte dall’appellato;
condanna l’appellato a rifondere agli appellanti le spese relative al primo grado del giudizio, che liquida in euro 1.150,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario per spese generali ed agli accessori di legge , e quelle relative al presente grado, che liquida in 2.300,00 per compensi ed euro 205,50 per spese, oltre al rimborso forfettario per spese generali ed agli accessori di legge.

[1] Trib. Milano sent. n. 1240 del 20.03.2015.
[2] Art. 63 co. 4, disp. att. cod. civ.
fonte:http://www.laleggepertutti.it/85833_vendita-casa-chi-paga-gli-arretrati-col-condominio

B&B in appartamento condominiale

L’attività di bed and breakfast e affittacamere non determina un mutamento della destinazione d’uso degli immobili utilizzati come “civile abitazione” e non implica conseguenze dannose per gli altri inquilini.
 L’apertura di un bed and breakfast o l’avvio di una attività di affittacamere in condominio – se espressamente vietate dal regolamento condominiale – potevano avvenire, fino all’anno scorso, solo previa approvazione dell’assemblea condominiale.
La Corte di Cassazione [1] ha invece ritenuto che il regolamento condominiale non possa costituire un freno all’apertura di attività di bed and breakfast in appartamento. In particolare, afferma la Corte, che l’attività di bed & breakfast o di affittacamere:
non comporta un cambio di destinazione d’uso dell’appartamento, che viene sempre utilizzato per scopi abitativi: per dormire e fare colazione, a prescindere dal numero di persone che vi soggiornano;
non comporta conseguenze pregiudizievoli per gli altri condomini, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per l’utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell’attività di bed and breakfast e che è interesse di chi gestisce l’attività di b&b o affittacamere far sì che l’appartamento ed il condominio siano sempre in condizioni igieniche, estetiche e funzionali eccellenti.
Inoltre, a livello comunale e regionale, sono stati emanati regolamenti che disciplinano dettagliatamente queste attività, ritenendole lecite e consentendole proprio negli appartamenti adibiti a civile abitazione. Di conseguenza, ciascun condomino sarà libero di affittare a ore o a giorni il proprio appartamento o una o più camere e, fino a prova contraria, tutto ciò non comporterà alcuna forma di danno per gli altri inquilini.
[1] Cass. sent. n. 24707 del 20.11.2014.

Fonte : http://www.laleggepertutti.it/81178_si-al-bb-in-appartamento-condominiale#sthash.h2liJpJI.dpuf

Slitta l'adeguamento per il "nuovo libretto"

Impianti termici, il libretto è diventato unico: non si distingue più in “centrale” ed “impianto”.
Con il decreto mille proroghe, approvato negli scorsi giorni dalle Camere, è slittato, ancora una volta, il termine per l’adeguamento dei libretti relativi agli impianti di riscaldamento e condizionatori. In pratica, per tutti gli impianti termici presenti nelle civili abitazioni, è stato prorogato al 31.12.2015 il termine per l’integrazione del libretto di centrale. Ricordiamo che, per effetto delle recenti modifiche legislative, il libretto d’impianto e i rapporti di controllo per l’efficienza energetica sono diventati obbligatori per tutte le tipologie d’impianto (non solo, quindi i riscaldamenti tradizionali) compresi i condizionatori. In particolare, tutti gli impianti termici per la climatizzazione (invernale ed estiva) e per la produzione di acqua calda sanitaria dovranno essere, dal 1° gennaio 2016, muniti del nuovo libretto di impianto, compilato secondo il modello predisposto dal ministero dello Sviluppo Economico. Ricordiamo che il libretto è una sorta di carta d’identità dell’impianto: ne registra tutta la vita dalla prima accensione fino alla demolizione, includendo le modifiche, sostituzioni di apparecchi e componenti, interventi di manutenzione e di controllo, valori di rendimento nel corso della vita utile, cambi di proprietà.
Cosa cambia dal 2016 Il modello che entrerà in vigore dal prossimo anno non si distinguerà più un due tipologie di moduli (uno riferito alle centrali termiche e l’altro al singolo impianto autonomo), ma su un modulo unico, personalizzabile, costituito da tante schede, usate e assemblate in funzione delle componenti dell’impianto. In pratica, gli attuali “Libretti di Centrale e di Impianto” (per impianti termici sopra e sotto i 35kW) dovranno essere sostituiti da un unico “Libretto per la climatizzazione” ove sarà possibile indicare, per esempio, la presenza sia dell’impianto termico (di qualsiasi potenza) che dell’impianto di climatizzazione estiva. Per gli impianti esistenti sino all’ingresso del nuovo libretto, i “Libretti di centrale” ed i “Libretti di impianto”, già compilati in precedenza, dovranno essere allegati al nuovo “Libretto per la climatizzazione”. La prima compilazione sarà fatta dall’installatore all’atto del montaggio dell’impianto e della sua messa in funzione. In seguito dovrà essere aggiornato dal responsabile dell’impianto (cioè il singolo cittadino o, in condominio, dall’amministratore o da una ditta terza da questi delegato) o dal manutentore.
– Fonte  at: http://www.laleggepertutti.it/80278_caldaie-slitta-lintegrazione-del-libretto#sthash.ZxOrsStP.dpuf

Certificazione unica 2015 – entro 07 marzo 2015

 ATTENZIONE: CERTIFICAZIONE UNICA 2015 – ENTRO IL 7 MARZO

A partire dal 2015 per il periodo d’imposta 2014, i sostituti d’imposta dovranno trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il 7 marzo, le certificazioni relative ai redditi di lavoro dipendente, ai redditi di lavoro autonomo e ai redditi diversi, già rilasciate entro il 28 febbraio. Il flusso telematico da inviare all’Agenzia si compone: • Frontespizio nel quale vengono riportate le informazioni relative al tipo di comunicazione, ai dati del sostituto, ai dati relativi al rappresentante firmatario della comunicazione, alla firma della comunicazione e all’impegno alla presentazione telematica; • Quadro CT nel quale vengono riportate le informazioni riguardanti la ricezione in via telematica dei dati relativi ai mod.730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate; • Certificazione Unica 2015 nella quale vengono riportati i dati fiscali e previdenziali relativi alle certificazioni lavoro dipendente, assimilati e assistenza fiscale e alle certificazioni lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. Si precisa che tutte le certificazioni uniche rilasciate dai sostituti d’imposta devono essere inviate all’Agenzia delle Entrate, anche qualora attestassero tipologie reddituali per le quali il dettato normativo non ne ha previsto la predisposizione per la dichiarazione dei redditi precompilata. I modelli e le relative istruzioni sono prelevabili gratuitamente dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it oppure da quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze www.finanze.gov.it. È data facoltà ai sostituti d’imposta di suddividere il flusso telematico inviando, oltre il frontespizio ed eventualmente il quadro CT, le certificazioni dati lavoro dipendente ed assimilati separatamente dalle certificazioni dati lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi
Agenzia delle Entrate

Il nuovo CU2015. Responsabilità fiscali del condominio e compenso dell’amministratore.

Rosario Dolce – Ivan Meo 
La novità. Una delle principali novità del CU 2015 riguarda i destinatari dell’adempimento. Il nuovo CU dovrà essere inviato, entro date scadenze, non solo ai lavoratori dipendenti ma anche ai lavoratori autonomi, cioè ai professionisti, percettori di provvigioni da parte del “sostituto d’imposta”, nel corso dell’anno, con applicazione di ritenuta d’acconto alla fonte.
L’amministratore di condominio – o meglio il Condominio degli edifici – dovrà, dunque, eseguire un nuovo e diverso adempimento di carattere fiscale, rispetto quello “informale” finora svolto.
Non sarà più necessario certificare i compensi erogati ai lavoratori autonomi con comunicazione “informale”;d’ora in avanti, occorrerà inoltrare ai suddetti professionisti il nuovo modello CU, analogamente a quanto fatto, allo stato, con i lavoratori dipendenti.
L’innovativo regime, peraltro, trova applicazione anche per le erogazioni di danaro corrisposte alle imprese appaltatrici, previa applicazione di ritenuta alla fonte pari al 4%.
In caso di omesso invio. Ancorché non siano state previste delle sanzioni in capo al “sostituto d’imposta”in caso di omesso invio della nuova CU ai contribuenti di riferimento; ben differentemente,il legislatore ha invece disposto l’applicazione di una sanzione pecuniaria – alquanto“generosa” -nel caso di errori nella compilazione e nell’invio all’Agenzia delle Entrate, secondo la tempistica ivi prevista.
Le sanzioni. L’articolo 2 del decreto legislativo 175/2014 intitolato “Trasmissione all’Agenzia delle entrate” ha precisato che “… Le certificazioni di cui al comma 6-ter sono trasmesse in via telematica all’Agenzia delle entrate entro il 7 marzo dell’anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti. Per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si applica la sanzione di cento euro in deroga a quanto previsto dall’articolo 12, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Nei casi di errata trasmissione della certificazione, la sanzione non si applica se la trasmissione della corretta certificazione è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza indicata nel primo periodo ”.
Ciò vuol significare che il sostituto d’imposta e/o chi per esso (l’amministratore), al fine di evitare di incorrere nelle sanzioni previste dall’articolo 2 del decreto legislativo 175/2014, potrà correggere gli errori commessi nella trasmissione delle certificazioni uniche, inoltrando ex post una nuova certificazione corretta, purché ciò avvenga entro i cinque giorni successivi alla scadenza prevista (che, secondo l’Agenzia delle Entrate slitta al successivo lunedì 9 marzo”,risposta Telefisco del 29 gennaio 2015). In altri termini: per il nuovo CU2015 non è previsto l’istituto del ravvedimento operoso.
Una brutta notizia, quindi: il ravvedimento è bloccato per le omesse o ritardate presentazioni dei modelli di Certificazione Unica.
A chi va applicata la sanzione? Mutuando la normativa fiscale di riferimento, non sembrerebbero esservi dubbi che: in caso di errore nella comunicazione del CU2015 da parte dell’amministratore, a rispondere della sanzione saranno i condòmini, responsabili in solido avanti al Fisco.
L’art. 25-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, modificato dall’art. 1, comma 43, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria2007),individua il soggetto obbligato ad operare la ritenuta in esame nel “condominio quale sostituto di imposta” (espressione a suo tempo inserita nell’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973,dall’art. 21 comma 11, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, per attrarre detta figura nel novero dei sostituti di imposta).
Pertanto, anche con riferimento all’adempimento dei nuovi obblighisi confermano i chiarimenti già forniti con la circolare del Ministero delle finanze n. 204/E del 6 novembre 2000.
In buona sostanza, deve ritenersi che il soggetto obbligato ad effettuare la ritenuta d’acconto e gli adempimenti conseguenti “è il condominio in quanto tale“, anche se “il soggetto normalmente incaricato dal condominio a porre in essere gli adempimenti correlati alle funzioni di sostituto di imposta sia l’amministratore“,laddove nominato per obbligo (condominio con più di quattro condomini: Oggi otto; ndr) nell’esercizio di una facoltà (condominio con non più di quattro/otto condomini) [cfr, Circolare n. 7/E del 7 febbraio 2007] Il compenso professionale con il nuovo adempimento. Occorrerà, pertanto, prestare massima attenzione all’invio della nuova CU 2015 da parte di ogni amministratore di condominio, specie ove questi abbia in gestione più stabili.
Il nuovo adempimento fiscale genererà nuova responsabilità professionale in capo l’amministratore, seppure mediata dal Condominio e/o dalla solidarietà sussistente tra i condòmini – non sembrerebbe però in grado di incidere nella misura del rispettivo compenso pecuniario, a suo tempo convenuto.
Va, infatti, ribadito che in tema di condominio, l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali – tra cui vanno annoverate anche le incombenze fiscali, quale quella in disamina – deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte (Cass. n. 3596/2003; n. 122047210).
In altre parole, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato allorché è stabilito un compenso forfettario a favore dell’amministratore a monte. Viceversa, spetterà all’assemblea condominiale il compito generale di valutare successivamente l’attività “ultronea” resa dall’amministratore, quant’anche l’opportunità di conferire allo stesso un compenso extra (Cass. Civ., 22313/2013).
Sotto tale e diverso aspetto, l’amministratore di condominio non può esigere neppure il rimborso di spese da lui anticipate non potendo il relativo credito considerarsi liquido ed esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea (Cass. n. 14197/2011).
L’articolo 1129, comma quattordicesimo, ha infatti cristallizzato il compenso dell’amministratore di condominio alla misura stabilitasi all’atto del conferimento dell’incarico.
Ciò non toglie però che in sede di conferma e/o di conferimento di un nuovo incarico,con riferimento alle nuove e complesse incombenze fiscali, l’amministratore di condomino possa chiedere il riconoscimento di un “extra”, ovvero domandare che lo svolgimento di tale attività (presentazione telematica del CU) venga esternalizzata ad un soggetto esterno, in grado di evadere l’incarico nell’interesse di tutti…

Fonte: http://www.condominioweb.com/certificazione-unica-risvolti-del-nuovo-adempimento.11612#ixzz3Qh4SP43j 
www.condominioweb.com

La contabilizzazione del calore consumato

La contabilizzazione del calore consumato da ogni unità immobiliare è ormai entrata nella cultura e nelle abitudini comuni.
Prevista ope legis da tempo, negli interventi di nuova edificazione, ed a colpi di decretazione regionale (con tanti avanti-indietro, proroghe, deroghe, sanzioni e chi più ne ha, ne metta) presto o tardi coinvolgerà tutti gli edifici.
È cosa senz’altro positiva, perché, associata alla possibilità di regolazione, contribuisce in maniera radicale alla responsabilizzazione e sensibilizzazione di tutti verso un bene comune, facendo leva sull’interesse economico del singolo. Non sempre sortisce gli effetti taumaturgici che le si attribuiscono, ma sicuramente evidenti, sì.
Come sempre insieme alle cose positive sono da considerare alcuni aspetti che, se non negativi, devono essere oggetto di attenta valutazione, specialmente quando la contabilizzazione viene effettuata su impianti “old-style” installati in edifici con isolamento termico ridotto o quasi nullo (cosa che avviene nella grande maggioranza degli edifici precedenti il 1976, anno della legge 373, antesignana della più celebre legge 10/1991).
In questi casi infatti, è prevedibile l’insorgere di contenziosi che possono derivare da problematiche non affrontate.
Ripartizione dei costi
Negli stabili condominiali in cui fino ad oggi la ripartizione dei costi di riscaldamento (sia per il combustibile sia per la manutenzione) è stata effettuata con l’ovvio criterio dei millesimi, si pone in problema di quanto debbano pagare i condomini con l’appartamento ai piani estremi (il più alto ed il più basso). Nelle nostre considerazioni tralasciamo pure le pur rilevanti incertezze della misurazione ed immagiamo che sia perfetta.
Gli appartamenti dell’ultimo piano, che sopra hanno aria esterna fredda, oppure un sottotetto non riscaldato, hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal soffitto.
Quelli del piano terreno hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal pavimento.
Gli altri piani hanno superfici disperdenti costituite dalle sole pareti esterne.
È ovvia la considerazione che in un ipotetico palazzo a pianta quadrata di 5 metri di lato gli appartamenti intermedi hanno superficie disperdente di 20×2.7=54 m2; l’appartamento più in alto, a quella superficie deve aggiungere 25 m2, come il piano terreno. A loro volta i due appartamenti estremi hanno diverso scambio termico con il resto del mondo: quello in alto, con aria esterna a temperatura invernale (a Milano, per esempio, -5 °C); quello al piano terra, con il terreno a 10÷15 °C.
La potenza scambiata con l’esterno è direttamente proporzionale alla superficie ed al salto termico fra interno ed esterno dell’abitazione: è quindi ovvio che gli appartamenti all’estremo siano sfavoriti e l’energia misurata dai loro contabilizzatori sia in parte al servizio dell’appartamento, come tutti, ed in parte al servizio del condominio.
Quanto si muta il regolamento condominiale in funzione dell’introduzione della contabilizzazione, occorre quindi prevedere un meccanismo che riconosca giusta ragione di ciò.
Sono in uso “comode” forfettizzazioni che indicano come ripartire i consumi degli ultimi piani. Tipicamente si utilizzano valori compresi fra 20 e 30 % del consumo totale come “condominiale” ed il resto come “pro capite”.
Queste forfettizzazioni sono fatte sulla base di un apparente buon senso, basato su assunti non necessariamente veri, come quello del piccolo esempio numerico di prima.
La tipologia di pareti, serramenti, solai e pavimenti, può cambiare radicalmente le prospettive, in bene o in male, causando storture applicative.
È invece opportuno che la quantificazione della quota “condominiale” sia calcolata attraverso un calcolo rigoroso, orami alla portata di tutti, dal quale si evinca, in funzione dei gradi giorno rilevati attualmente, quale è la quantità di calore che esce attraverso i tetti ed i solai e detrarre quella quota dai consumi degli appartamenti all’ultimo ed al primo piano.
Il meccanismo è pure relativamente semplice, ma assai più robusto del “lume di naso”, permettendo tra l’altro di tener conto delle differenze di temperatura fra un anno e l’altro.
Temperatura d’esercizio
Un problema simile e per certi versi più insidioso è l’apparente libertà di regolazione che i condòmini hanno. Installare regolazione e contabilizzazione autonoma consentono di regolare al meglio la temperatura degli appartamenti. Ma il condòmino è libero di tenere, per esempio, 10°C? Oppure, se l’appartamento è sfitto, può spegnere tour-court il riscaldamento?
La risposta è negativa per una serie di ragioni.
La prima è di rapporto con i vicini. Si dà, infatti, per sottinteso che tutti gli appartamenti siano eserciti a temperatura normale e che, di conseguenza, non ci sia scambio termico fra due appartamenti posti a piani diversi. Temperatura normale con la quale sono stati eserciti fino ad oggi sotto la regolazione condominiale.
Se, come esempio limite, un appartamento venisse tenuto a 0 °C, quello soprastante richiederà molta più energia (contabilizzata e pagata dal singolo) del normale, come se fosse l’appartamento dell’ultimo piano. Questo è un punto estremamente importante in assoluto, ma anche perché rischia di far nascere, aumentare ed esacerbare i rapporti di buon vicinato, tradizionalmente già tesi in un condominio.
C’è un’altra considerazione, tuttavia, da fare: gli edifici un po’ anziani –in particolare le loro pareti esterne- nacquero in un’epoca, prima della crisi energetica del 1973, in cui l’energia costava poco e quindi sono poco coibentati. Il sistema termodinamico vive quindi di uno strano equilibrio per il quale l’elevata quantità di calore che esce verso l’esterno tiene calde le pareti. Questo è un non voluto e costoso, ma efficiente, modo di evitare la formazione delle condense sui muri.
È evidente che tenere inutilmente alte le temperature per salvare dalla condensa è per certi versi assurdo. Ma si deve anche tenere in considerazione che un appartamento chiuso e freddo per lunghi periodi darà luogo a deterioramento esterno ed interno delle muratura, con conseguente danno per l’edificio, specialmente per gli appartamenti confinanti, che vedranno gli spigoli dei loro muri inusitatamente freddi e, quindi, con pericolo di condensa e danneggiamento.
Cosa fare, allora?
Nelle stesse more dell’adozione della contabilizzazione e regolazione per appartamento, occorre inserire una clausola obbligatoria in base alla quale gli appartamenti non possono essere eserciti a temperature inferiori ad un certo limite (p.es. 15 °C, come suggerito dalla norma UNI 10200:2013). Limiti che contemperino il diritto/dovere del risparmio d’energia di un singolo condomino, ma anche quelli degli altri condomini che non devono pagare più del dovuto e di tutto il condominio del quale si deve preservare correttamente la proprietà.
___________________________________
Si faccia comunque opportuno riferimento alla norma UNI 10200:2013 “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale e produzione di acqua calda sanitaria Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale ed acqua calda sanitaria”
DPR 74/201 “Art. 3. Valori massimi della temperatura ambiente 1. Durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale, la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare, non deve superare: a) 18°C + 2°C di tolleranza per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili; b) 20°C + 2°C di tolleranza per tutti gli altri edifici.”
Se il salto termico è nullo, la potenza scambiata è pure nulla.

Tabella oneri accessori Locatore-Conduttore

TABELLA ONERI ACCESSORI
RIPARTIZIONE FRA LOCATORE E CONDUTTORE
CONCORDATA TRA CONFEDILIZIA E SUNIA-SICET-UNIAT
REGISTRATA IL 30 APRILE 2014 A ROMA
(Agenzia Entrate, Ufficio territoriale Roma 2, n.8455/3)

ASCENSORE

Manutenzione ordinaria e piccole riparazioni C
Installazione e manutenzione straordinaria degli impianti L
Adeguamento alle nuove disposizioni di legge L
Consumi energia elettrica per forza motrice e illuminazione C
Ispezioni e collaudi

AUTOCLAVE

Installazione e sostituzione integrale dell’impianto o di componenti primari L
(pompa, serbatoio, elemento rotante, avvolgimento elettrico ecc.)
Manutenzione ordinaria C
Imposte e tasse di impianto L
Forza motrice C
Ricarico pressione del serbatoio C
Ispezioni, collaudi e lettura contatori C

IMPIANTI DI ILLUMINAZIONE, DI VIDEOCITOFONO, DI VIDEOSORVEGLIANZA E SPECIALI

Installazione e sostituzione dell’impianto comune di illuminazione L
Manutenzione ordinaria dell’impianto comune di illuminazione C
Installazione e sostituzione degli impianti di suoneria e allarme L
Manutenzione ordinaria degli impianti di suoneria e allarme C
Installazione e sostituzione dei citofoni e videocitofoni L
Manutenzione ordinaria dei citofoni e videocitofoni C
Installazione e sostituzione di impianti speciali di allarme, sicurezza e simili L
Manutenzione ordinaria di impianti speciali di allarme, sicurezza e simili C
Installazione e sostituzione di impianti di videosorveglianza L
Manutenzione ordinaria di impianti di videosorveglianza C

IMPIANTI DI RISCALDAMENTO, CONDIZIONAMENTO, PRODUZIONE ACQUA CALDA, ADDOLCIMENTO ACQUA, PRODUZIONE DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

Installazione e sostituzione degli impianti L
Adeguamento degli impianti a leggi e regolamenti L
Manutenzione ordinaria degli impianti, compreso il rivestimento refrattario C
Pulizia annuale degli impianti e dei filtri e messa a riposo stagionale C
Lettura dei contatori C
Acquisto combustibile, consumi di forza motrice, energia elettrica e acqua C

IMPIANTI SPORTIVI

Installazione e manutenzione straordinaria L
Addetti (bagnini, pulitori, manutentori ordinari ecc.) C
Consumo di acqua per pulizia e depurazione; acquisto di materiale C
per la manutenzione ordinaria
IMPIANTO ANTINCENDIO
Installazione e sostituzione dell’impianto L
Acquisti degli estintori L
Manutenzione ordinaria C
Ricarica degli estintori, ispezioni e collaudi C

IMPIANTO CENTRALIZZATO DI RICEZIONE RADIOTELEVISIVA E DI FLUSSI INFORMATIVI

Installazione, sostituzione o potenziamento dell’impianto centralizzato L
per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere
di flusso informativo anche da satellite o via cavo
Manutenzione ordinaria dell’impianto centralizzato per la ricezione C
radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo
anche da satellite o via cavo

PARTI COMUNI

Sostituzione di grondaie, sifoni e colonne di scarico L
Manutenzione ordinaria grondaie, sifoni e colonne di scarico C
Manutenzione straordinaria di tetti e lastrici solari L
Manutenzione ordinaria di tetti e lastrici solari C
Manutenzione straordinaria della rete di fognatura L
Manutenzione ordinaria della rete di fognatura, compresa la disostruzione C
dei condotti e pozzetti
Sostituzione di marmi, corrimano, ringhiere L
Manutenzione ordinaria di pareti, corrimano, ringhiere di scale e locali comuni C
Consumo di acqua ed energia elettrica per le parti comuni C
Installazione e sostituzione di serrature L
Manutenzione delle aree verdi, compresa la riparazione degli attrezzi utilizzati C
Installazione di attrezzature quali caselle postali, cartelli segnalatori, bidoni, L
armadietti per contatori, zerbini, tappeti, guide e altro materiale di arredo
Manutenzione ordinaria di attrezzature quali caselle postali, cartelli C
segnalatori, bidoni, armadietti per contatori, zerbini, tappeti, guide
e altro materiale di arredo
Tassa occupazione suolo pubblico per passo carrabile C
Tassa occupazione suolo pubblico per lavori condominiali L

PARTI INTERNE ALL’APPARTAMENTO LOCATO

Sostituzione integrale di pavimenti e rivestimenti L
Manutenzione ordinaria di pavimenti e rivestimenti C
Manutenzione ordinaria di infissi, serrande e dell’impianto sanitario C
Rifacimento di chiavi e serrature C
Tinteggiatura di pareti C
Sostituzione di vetri C
Manutenzione ordinaria di apparecchi e condutture di elettricità, dei cavi, C
degli impianti citofonico, videocitofonico e degli impianti individuali di videosorveglianza, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo anche da satellite o via cavo
Verniciatura di opere in legno e metallo C
Manutenzione ordinaria dell’impianto di riscaldamento e condizionamento C
Manutenzione straordinaria dell’impianto di riscaldamentoe condizionamento L

PORTIERATO

Trattamento economico del portiere e del sostituto, compresi contributi L 10% C 90%
previdenziali e assicurativi, accantonamento liquidazione, tredicesima,
premi, ferie e indennità varie, anche locali, come da c.c.n.l.
Materiale per le pulizie C
Indennità sostitutiva alloggio portiere prevista nel c.c.n.l. L10% C90%
Manutenzione ordinaria della guardiola L10% C90%
Manutenzione straordinaria della guardiola L

PULIZIA

Spese per l’assunzione dell’addetto L
Trattamento economico dell’addetto, compresi contributi previdenziali C
e assicurativi, accantonamento liquidazione, tredicesima, premi,
ferie e indennità varie, anche locali, come da c.c.n.l.
Spese per il conferimento dell’appalto a ditta L
Spese per le pulizie appaltate a ditta C
Materiale per le pulizie C
Acquisto e sostituzione macchinari per la pulizia L
Manutenzione ordinaria dei macchinari per la pulizia C
Derattizzazione e disinfestazione dei locali legati alla raccolta delle immondizie C
Disinfestazione di bidoni e contenitori di rifiuti C
Tassa rifiuti o tariffa sostitutiva C
Acquisto di bidoni, trespoli e contenitori L
Sacchi per la preraccolta dei rifiuti C

SGOMBERO NEVE

Spese relative al servizio, compresi i materiali d’uso C

PER LE VOCI NON PREVISTE DALLA PRESENTE TABELLA SI RINVIA ALLE NORME DI LEGGE E AGLI USI LOCALI

LEGENDA

L = locatore
C = conduttore

Parcheggio dei veicoli nel cortile: decide l'assemblea a maggioranza

Le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità. Ne consegue che la clausola del regolamento condominiale, di natura contrattuale, che regola le condizioni delparcheggio dei veicoli dei condomini nel cortile del fabbricato, quale clausola che disciplina modalità di uso e godimento di un bene comune, può ben essere modificata dall’assemblea a maggioranza e non già all’unanimità. Questo il principio che può essere tratto da una recente decisione emessa dalla Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione (Cass. civ., Sent. 6 maggio 2014, n. 9681, Rel e Pres. Triola).
Il condomino Tizio impugna innanzi al giudice la delibera con la quale l’assemblea condominiale aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile del fabbricato con il sistema della rotazione. A sostegno della impugnazione, deduce che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, prevedeva che i veicoli dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni – e che di conseguenza non potevano parcheggiare in garage – avevano diritto di parcheggio in cortile con le seguenti priorità:

  1. macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni;
  2. macchine doppie;
  3. macchine triple.

In primo grado, il giudice annulla la delibera impugnata. Su appello di alcuni condomini, cui aderiva con appello incidentale in Condominio, la corte distrettuale accoglie le impugnazioni.
Tizio allora impugna con ricorso in cassazione la sentenza della corte d’appello. In particolare, il ricorrente, muovendo dal presupposto della natura “contrattuale” della norma contenuta nel regolamento, giunge a concludere che la stessa non avrebbe potuto essere modificata dall’assemblea se non con il consenso unanime dei condomini. Ma la tesi è smentita dalla Suprema Corte che ritiene infondato l’assunto. Infatti, osserva il giudice di legittimità, la corte del merito, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura “contrattuale” per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138, comma 1, cod. civ. E da ciò consegue, conclude la Cassazione, che la predetta clausola ben poteva essere modificata con la maggioranza assembleare prevista dal successivo terzo comma della citata norma.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile


Sentenza 6 maggio 2014, n. 9681
Integrale

Condominio – Disposizioni del regolamento condominiale che disciplina l’uso delle parti comuni – Natura contrattuale – Esclusione – Parcheggio insufficiente – Necessità di turnazione – Delibera assembleare che disciplina l’uso del cortile comune


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
CONDOMINIO VIA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T. – P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2037/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 07/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Presidente Rel. Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine, il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato l’8 gennaio 2002 (OMISSIS) impugnava davanti al Tribunale di Napoli la delibera assunta in data 7 dicembre 2001 dal condominio di via (OMISSIS), in Napoli, di cui faceva parte, e che aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile col sistema della rotazione.
In particolare deduceva che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, all’articolo 8 prevedeva che le macchine dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni e che non potevano quindi parcheggiare in garage, avevano diritto di parcheggio in cortile, con le seguenti priorita’: 1) macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni; 2) macchine doppie; 3) macchine triple.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 26 settembre 1996, passata in giudicato, aveva annullato una precedente delibera dello stesso contenuto, per cui l’assemblea non avrebbe potuto disporre nello stesso senso.
Si costituivano i condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), chiedendo il rigetto della impugnazione.
In corso di causa si costituiva anche il condominio, contestando il fondamento della impugnazione.
Nel giudizio interveniva (OMISSIS), che, invece, aderiva alla impugnazione.
Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale di Napoli annullava la delibera.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) proponevano appello, al quale aderiva con appello incidentale il condominio.
Con sentenza in data 27 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli accoglieva le impugnazioni.
Secondo i giudici di secondo grado, erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto la natura contrattuale dell’articolo 8 del regolamento, con conseguente immodificabilita’ della disciplina dallo stesso prevista se non all’unanimita’, dal momento che tale disposizione disciplinava il godimento di una parte comune.
Da tale premessa derivava che il giudicato formatosi sulla precedente delibera valeva solo per la situazione di fatto esistente al momento in cui la stessa era stata assunta, ma non impediva una nuova deliberazione ove per il numero delle vetture interessate o per altre circostanze fosse diventato impossibile soddisfare il parcheggio di tutti nel cortile, con conseguente necessita’ di turnazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il Condominio in (OMISSIS), assistiti dallo stesso difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente insiste nell’invocare il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli in data 26 settembre 1996.
Il motivo e’ infondato.
Come chiarito dalla Corte di appello di Napoli il giudicato in questione era soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus, per cui non impediva la possibilita’ di una nuova delibera la quale disciplinasse il parcheggio nel cortile ove fossero mutate le condizioni esistenti all’epoca in cui la prima delibera era stata impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente, sul presupposto della natura contrattuale della clausola di cui all’articolo 8 del regolamento, ribadisce che la stessa non avrebbe potuto essere modificata se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo e’ infondato.
La Corte di appello, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto che siano state approvate all’unanimita’, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’articolo 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che anche volendo ammettere che il precedente giudicato non costituiva causa ostativa alla assunzione di una delibera che disciplinasse l’uso del parcheggio nel cortile comune, la Corte di appello avrebbe dovuto comunque indicare quali erano le mutate condizioni che rendevano legittima la nuova delibera.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto introduce una questione che non ha costituito oggetto del giudizio nelle fasi di merito, avendo l’attuale ricorrente, a quanto si ricava dalla sentenza impugnata, invocato sempre e soltanto la natura contrattuale del regolamento e il precedente giudicato, senza mai, neppure in via subordinata, dedurre che comunque la delibera impugnata si basava su presupposti di fatto in realta’ non esistenti.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, con liquidazione unitaria in favore dei controricorrenti, in quanto assisiti dallo stesso difensore, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella complessiva somma di euro 2.200,00, di cui euro 200 per esborsi.

Approvazione e Revisione delle Tabelle Millesimali

PER APPROVAZIONE E REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI NON SERVE L’UNANIMITA’
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 18 dicembre 2013 – 26 febbraio 2014, n. 4569
(Presidente Oddo – Relatore Manna)

Svolgimento del processo

M.P., usufruttuaria di un appartamento del condominio Palazzo Camera, via G. Amato, 10, Minori, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Amalfi su ricorso del condominio stesso per il pagamento della somma di € 729,76 per residui oneri condominiali relativi agli anni 2000-2001. A sostegno dell’opposizione deduceva la carenza di legittimazione processuale dell’amministratore, in quanto cessato dalla carica all’epoca di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo; la mancata approvazione del rendiconto consuntivo del 2000 e la genericità di quello del 2001; l’illegittima ripartizione delle spese perché operata sulla base di tabelle millesimali mai approvate da tutti i condomini e diverse da quelle di cui al regolamento contrattuale formato nel 1996 all’atto di costituzione del condominio; nonché la riferibilità esclusiva delle spese stesse al solo nudo proprietario, in quanto derivanti da interventi di manutenzione straordinaria dell’edificio.
Il condominio resisteva in giudizio.
Il giudice di pace rigettava l’opposizione, con sentenza confermata dal Tribunale di Salerno in funzione di giudice d’appello.
Quest’ultimo osservava, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l’assemblea del condominio con deliberazione del 2.1.1999 aveva adottato, con il consenso unanime di tutti i condomini presenti, tra cui la stessa P., e a maggioranza dei partecipanti al condominio, i nuovi coefficienti di ripartizione delle spese da utilizzarsi ai fini della redazione delle nuove tabelle millesimali, le quali, predisposte secondo le indicazioni delle citata delibera, erano state poi approvate, all’unanimità dei presenti, dall’assemblea del 4.12.1999. La P., proseguiva il Tribunale, non aveva partecipato a quest’ultima assemblea, ma il 3.1.2000 aveva avuto piena cognizione del contenuto della relativa deliberazione, apponendovi in calce la propria firma per accettazione. Pertanto, con la sottoscrizione apposta sia dalla P., sia dagli altri condomini che non avevano partecipato all’assemblea, il requisito di forma necessario per la modifica della tabella doveva ritenersi assolto.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.P., in base a tre motivi illustrati successivamente da memoria.
Resiste il condominio con controricorso.
Concesso termine all’amministratore del condominio per produrre l’autorizzazione dell’assemblea condominiale alla proposizione del controricorso, non risulta effettuato alcun deposito.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1325 e 1346 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che il verbale dell’assemblea del 4.12.1999 non riporta, ma si limita a richiamare, le tabelle predisposte dall’ing. C.C. secondo quanto dettato dall’assemblea del condominio in data 2.1.1999. Ne deriva che l’oggetto, requisito essenziale ai sensi dell’art. 1325 c.c., è indeterminato e incerto, con la conseguente invalidità della delibera.
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., applicabile catione temporis alla fattispecie: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che il verbale del 4.12.1999 è invalido perché, non riportando le nuove tabelle, l’oggetto non è stato determinato né è determinabile”.
1.1. – Il motivo è infondato.
E’ pacifico sia in dottrina che nella giurisprudenza di questa Corte che il requisito di determinazione dell’oggetto di cui all’art. 1346 c.c., applicabile anche agli atti unilaterale in base all’art. 1324 c.c., può essere soddisfatto anche per relationem, cioè attraverso una relatio di tipo sostanziale ad altri atti delle stesse parti o di terzi, purché il rinvio riguardi elementi prestabiliti ed aventi una preordinata rilevanza obiettiva (cfr. ex pluribus Cass. n. 534/79).
Tale è, ad evidenza, il caso di specie, in cui il verbale dell’assemblea condominiale del 4.12.1999, in cui furono approvate le nuove tabelle millesimali, richiama, senza per questo trascriverle, le nuove tabelle già predisposte in base a quanto precedentemente stabilito dalla stessa assemblea il 2.1.1999. Non occorreva, pertanto, riprodurre pedissequamente dette tabelle nel verbale del 4.12.1999 per integrare il requisito di cui all’art. 1346 c.c.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1136, 1138, 1350, 1362, 1372 c.c. e 69 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Il Tribunale, si sostiene, ha richiamato il principio per cui le tabelle millesimali non possono essere modificate se non per iscritto e con il consenso di tutti i condomini, ma in realtà non ne ha fatto applicazione, perché i condomini assenti erano sei, mentre quelli che firmarono per accettazione la delibera del 4.12.1999 furono solo cinque.
Segue il quesito: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le cosiddette nuove tabelle non sono state validamente approvate col consenso unanime, ed espresso in forma scritta ad substantiam, da tutti i partecipanti alla comunione”.
3. – Il terzo motivo ripropone la medesima doglianza del secondo mezzo, ma sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
La sentenza impugnata, deduce la ricorrente, non solo non chiarisce donde abbia percepito il consenso unanime di tutti i condomini alla variazione delle tabelle millesimali, ma afferma apoditticamente essere intervenuto il consenso scritto di tutti i condomini, senza verificare se il verbale del 4.12.1999 sia stato sottoscritto da tutti gli intervenuti e se i sei condomini assenti abbiano espresso personalmente il proprio consenso circa la comunicazione del verbale del 3.1.2000.
Propone la seguente sintesi della censura: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le tabelle allegate al regolamento condominiale contrattuale formato con atto pubblico e trascritto non sono state validamente modificate dalle nuove tabelle, in quanto non è stato espresso in forma scritta ad substantiam il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio”.
4. – Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per il loro complementare riferirsi a distinti profili della medesima questione, sono infondati.
Occorre considerare, infatti, il sopravvenuto nuovo indirizzo di questa Corte in materia, dovuto all’arresto n. 18477/10 delle S.U., in base al quale l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c. Infatti, la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, fonte che è costituita dalla legge stessa, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica.
4.1. – Ciò posto, ogni questione sull’adesione successiva di tutti e sei ovvero solo di cinque dei condomini assenti perde totalmente di rilievo, essendo sufficiente il raggiungimento – non controverso in causa – della sola prescritta maggioranza qualificata per l’adozione delle nuove tabelle.
5. – In conclusione il ricorso va respinto.
6. – Nulla per le spese, non essendosi validamente perfezionata la difesa del condominio a mezzo del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

I Balconi, Le Verande e Le Finestre

A cura dell’avv. Alessandro Gallucci
Tra le cose che, non di rado, generano discussioni in materia condominiale bisogna inserire i balconi, le finestre e le verande. È un dato pacifico che tutte queste strutture sono considerate di proprietà esclusiva, laddove di pertinenza di una singola unità immobiliare, tuttavia, la loro conformazione e determinate vicende (es. sostituzione, riparazione, ecc.) possono incidere su beni ed aspetti della vita comune.
La legge di riforma n. 220/2012, pur inserendo tra i beni comuni di cui all’art. 1117 c.c. espressamente le facciate, non ha previsto alcuna specifica novità in merito a balconi, verande o finestre, lasciando che sia la giurisprudenza a continuare a colmare il vuoto normativo.

I balconi aggettanti e incassati

I balconi sono propaggini di un appartamento ai quali si ha accesso per mezzo di una porta-finestra.
In linea di massima, si possono distinguere i balconi c.d. “aggettanti”, che sporgono rispetto alla facciata dello stabile, da quelli “incassati”, che, invece, formano una rientranza nella facciata dell’edificio e solitamente sono chiusi almeno su due lati. Quello dei balconi è un argomento che molto spesso genera contenzioso in ambito condominiale, in particolare, in ordine al regime di proprietà e alla conseguente ripartizione delle spese, nonchè all’utilizzo delle relative strutture.
La giurisprudenza è pacificamente orientata nel ritenere che per determinare l’assetto proprietario dei balconi occorre valutare la conformazione strutturale degli stessi. Secondo il consolidato indirizzo della Cassazione, i balconi aggettanti sono considerati beni di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento cui ineriscono, poiché costituiscono nella loro interezza una sorta di “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare (Cass. n. 14076/2003), mentre per i balconi incassati, la relativa soletta è di proprietà comune dei condomini dell’appartamento del piano superiore e di quello del piano inferiore, cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e da copertura (Cass. n. 15913/2007; n. 14576/2004). Per quanto concerne, infine, le decorazioni presenti su entrambe le tipologie di balconi, laddove in grado di incidere sul decoro architettonico, la giurisprudenza è unanime nel considerare che i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore (in particolare, i c.d. frontalini, le fasce marcapiano, i parapetti, ecc.), “svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, c.c.” (Cass. n. 568/2000; n. 14576/2004).
Le ripercussioni principali del regime di proprietà dei balconi e dei relativi elementi architettonici riguardano la ripartizione delle spese tra i condomini per gli interventi di manutenzione. Sulla scorta di quanto appena affermato, pertanto, nel caso di balcone aggettante le spese per la sua manutenzione saranno a carico del proprietario dell’appartamento del quale il balcone costituisce prolungamento, mentre le spese per gli elementi decorativi che costituiscono un carattere architettonico della facciata, dovranno porsi a carico di tutti i condomini (Cass. n.14076/2003; n. 637/2000; n. 176/86). Quanto agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il proprietario dell’appartamento del piano inferiore rispetto al balcone aggettante non potrà utilizzare, senza il consenso del proprietario del balcone, la parte inferiore della soletta per agganciare tende da sole o altri elementi (cfr. Cass. 17 luglio 2007, n. 15913), mentre, di contro, avrà diritto al risarcimento per gli eventuali danni causati dal medesimo.
Nei balconi incassati, invece, essendo la soletta di proprietà comune tra i proprietari cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e copertura, il condomino del piano inferiore potrà fare tutti gli usi che ritiene utili e necessari nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 1102 c.c., mentre il criterio di ripartizione delle spese per la manutenzione e ricostruzione sarà quello di cui all’art. 1125 c.c., relativo ai soffitti, alle volte e ai solai, secondo il quale le stesse vanno “sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto” (Cass. n. 14576/2004).
In ogni caso, tutte le decisioni assembleari relative al balcone, adottate senza il consenso del proprietario dello stesso, sono da considerarsi nulle, mentre qualsiasi modifica inerente ai balconi che sia suscettibile di incidere su un bene comune, quale il decoro architettonico, necessiterà del consenso di tutti i condomini.

Verande e usi consentiti

Per veranda comunemente si intende un balcone (loggia o terrazzo) chiuso con vetrate, per la quale valgono gli analoghi principi espressi per i balconi. Le questioni relative alle verande ineriscono soprattutto alla realizzazione delle stesse, laddove non previste all’origine della costruzione dello stabile.
La trasformazione di un balcone (o di un terrazzo) in veranda, a parte tutte le necessarie autorizzazioni comunali, rientra in materia di innovazioni, ed è considerata legittima quando non diminuisca il diritto degli altri condomini, non alteri il decoro architettonico dell’edificio o non rechi pregiudizio alla stabilità dello stesso. Sono considerate innovazioni vietate, invece, la costruzione di una veranda che leda i diritti degli altri condomini alla naturale destinazione dell’originario balcone (ad es. di copertura di parte dell’edificio condominiale) (Cass. n. 2189/1981; App. Napoli 25.6.1998), impedendo la veduta ai condomini soprastanti (Cass. n. 1132/1985), ovvero la trasformazione di un balcone in veranda “eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri” idonea, come tale ad alterare il decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cass. n. 27224/2013).

Finestre di proprietà e condominiali

Le finestre sono, in sostanza, aperture (semplici, composte, di piccole dimensioni o a parete) sui muri dell’edificio aventi la principale funzione, unitamente alle strutture che le rendono praticabili e utilizzabili (fissi ed infissi, stipiti, cornici, imposte) di dare luce ed aria agli ambienti interni.
Esse non rientrano tra i beni comuni ex art. 1117 c.c., poiché di regola destinate a servire all’utilità esclusiva di un determinato alloggio dell’edificio e, dunque, appartenenti al relativo proprietario.
Tuttavia, le finestre possono ben costituire elementi sia di proprietà condominiale che individuale.
Al pari dei balconi, infatti, gli elementi decorativi e ornamentali posti attorno alle finestre o tra una finestra e l’altra che costituiscono carattere architettonico della facciata, in grado di incidere sul decoro dell’edificio, accrescendone il pregio estetico, sono da considerarsi parti comuni ai sensi dell’art. 1117 n. 3 c.c., per cui le spese per il loro rifacimento e manutenzione sono a carico della collettività condominiale. Analogamente, per le finestre poste usualmente negli edifici in corrispondenza del vano scale, la cui funzione è quella di dare luce e aria alle scale di collegamento dei vari piani, non vi è motivo di dubitare che le stesse, servendo l’intero condominio, debbano essere considerate, al pari delle scale, di proprietà comune, salvo diversa indicazione proveniente dagli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o dal regolamento condominiale contrattuale.
In merito, infine, agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che qualsiasi intervento sul muro comune, come l’apertura di una finestra o di vedute o la trasformazione di finestre in balconi, è espressione del legittimo uso delle parti comuni per gli effetti di cui all’art. 1102 c.c., il quale consente a ciascun condomino di “servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”, sempre che questo avvenga nel rispetto dei divieti di cui all’art. 1120 e delle norme urbanistiche (Cass. n. 53/2014). Pertanto, è stata ritenuta “legittima l’esecuzione della delibera condominiale con cui alcuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balconi le finestre dei rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti balconi delle proprietà sottostanti, compiuta nell’ambito delle facoltà consentite dall’art. 1102 c.c. nell’uso dei beni comuni, previsto che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminuzione di luce e di aria alla veduta esercitata dal condomino sottostante” (Cass. n. 7044/2004); mentre, invece, sono state qualificate come abusive poiché pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell’edificio “le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio”. (Cass. n. 3927/1988).